Friday, December 31, 2010

Overview

Ultima zi din 2010. Maine va fi 2011, dar zilele vor fi exact la fel, cu exceptia faptului ca trebuie sa schimbam calendarul. Bunica mea tinea sa imi dea calendarul ortodox, dar adevarul e ca nu l-am urmarit niciodata, cu atat mai putin l-as urmari acum – zilele libere in Romania nu sunt aceleasi cu zilele libere din Italia. Ca veni vorba de zile libere, de aproximativ o luna am inceput sa lucrez intr-un birou super fancy din centrul Romei, si de atunci ma tot gandesc la zile libere. Inchei 2010 cu un loc de munca asigurat pentru urmatoarele 5 luni, cea mai lunga perioada petrecuta in acelasi loc din ultimii 2 ani. Mi se pare o eternitate!
Daca ar fi sa fac bilantul din 2010, as fi tentata sa ma gandesc doar la ultima perioada, ceea ce ar fi complet discriminatoriu pentru cealalta parte a anului. In ordinea reala, am inceput 2010 in Romania, iar la scurt timp dupa am fost in Belgia, Franta, Germania, Franta, Elvetia, Franta, Italia, Romania, Portugalia, Spania, Portugalia, Romania, Portugalia, Irlanda, Portugalia, Romania, Italia, Romania, Anglia, Romania, Italia, Romania, Italia, s.a.m.d....10 tari si un numar infinit de zboruri, de fapt ar trebui sa trec aeroporturile ca un non-loc unic ce constituie un fel de o alta tara: reguli proprii, teritoriu propriu.
Intrucat nu am scris scrisoarea catre Mos Craciun, as putea sa ii scriu noului an, facand abstractie ca nu reprezinta nimic altceva decat alte 365 de zile cu acelasi potential ca si cele trecute. Mi-as dori de la 2011 poate un numar mai mic de deplasari, dar o multime de locuri noi vizitate, daca se poate si mai indepartate; multe persoane noi, dar si multe regasiri; o noua “eu”, sau regasirea a ceea ce sunt “eu”; si, nu in ultimul rand, echilibrul perfect intre echilibru si dezechilibru. Am I asking too much?

Saturday, December 18, 2010

Monday, November 22, 2010

New life, new me?

We keep talking about intercultural competences acquired through workshops and seminars, but in the end it's either yo have it, or you don't. Who taught the poor immigrant women who are looking after an old person in a foreign country what a cultural shock is and how can you manage it? Which are the levels of intercultural sensitivity and how can you become more tolerant toward others?
I remember having met on an Italian train two Romanian women who had come to Italy a few years before. Once they discovered I was Romanian, they started to reveal me their secrets. "I love preparing pesto for the woman I'm working for, but when she turns her back I always add more basil and olive oil. She has no idea about this, but she goes crazy about it!" I could see in her eyes that she simply loved it.
Of course, many things lay behind this happy image. Living abroad means having to deal with the lack of your family and friends; beside openness, it even involves the possibility that your openness might change you into a somehow different person. At the beginning, it all looks so fascinating and you feel that you've always wanted your life to be like that. Finally, you have reached your goal: new friends, new job, new food... Then, something belonging to your inner culture, that you most probably hated before, starts to yell for new attention. And you find yourself missing the things that you couldn't even bear when you were at home. Surpassing this moment cannot be taught. That's why when someone asks me how come I don't miss home, I don't know what to answer. I do miss home, a lot, but I'm just too curious to give up at all the lovely possibilities that await me.

Monday, November 15, 2010

Overlapping


La mia possibilità di adattamento viene probabilmente dall’immaginazione. Altrimenti non riesco a collegare la mancanza  per i posti lontani o per i personaggi sconosciuti, spesso fittizi, che mi fanno creare un mondo solo mio. E in questo mondo, dove io sono sia il deo che la sua creatura, la mia vita è plurifacciata e nasconde un infinito di possibilità di me stessa. Ivi, anche la mia incapacità di prendere delle decisioni: nel decidere che cosa indossare o che farne della mia vita, mi passano davanti agli occhi le migliaia di apparenze con cui identificarmi e di vite tra cui scegliere.  E, purtroppo, la scelta mi è sempre comparsa come una possibilità noiosa che mi chiude tutte le porte, lasciandomi aperta solo una; e quella porta,  mi porterà solo da una parte. Ma il mio sogno è da sempre stato quello di galleggiare su un mare di potenzialità che io, con solo un tocco, potrei prestare per qualche secondo. Potrei cambiarmi per qualche istante; per poi, finire ad essere il cambiamento stesso.
Dando un’occhiata al mio guardaroba, qualcuno potrebbe svelare questo secreto mio. In lei si nascondono tante persone, potrebbero pensare. Potrebbero capire che faccio troppi sogni e che spesso preferisco i sogni alla realtà. Potrebbero anche confondersi, non capendo perché la mia realtà è cosi diversa dalla loro; non capendo che la mia sia semplicemente fittizia.

Saturday, November 6, 2010

Contrast

Brancas casas caiadas
Que ao sol brando de Outono
Se erguem, testemunhas do tempo,
De um passado sem retorno.
Suas fachadas imóveis
De centenárias vivências,
Seu ar inextirpável,
Sua misteriosa indeiscência,
Que segredos encerra
Desta minha bela terra.
(Ines Ribeiro)

Thursday, October 21, 2010

Professione: Cittadina Europea :)

Com’è iniziato il percorso che, di anno in anno, ti ha portata a girare l’Europa e vivere periodi più o meno lunghi in diverse città del continente?
Tutto è iniziato come una fiaba dello studente moderno: con l’Erasmus. Sin dall’inizio dell’università, a Bucarest, volevo ad ogni costo ottenere questa mobilità di studio presso l’Università degli Studi di Perugia, essendo da sempre innamorata della lingua italiana. Passati questi sei mesi, mi sono accorta che il mio percorso all’estero era appena cominciato e che non potevo fermarmi lì.
Cosa vuol dire per te Europa?
La mia casa, il posto di cui non mi annoio mai, a cui mi sento profondamente legata e che non smette mai di suscitare il mio interesse.
Viaggiare è un pò riscoprire se stessi?
Direi proprio scoprire se stessi, perché viaggiando riesci ad arricchire la tua identità personale e a conoscere degli aspetti della tua personalità che magari prima rimanevano nascosti. Per dare un esempio, i viaggi mi hanno fatto scoprire la mia passione per le lingue straniere e per gli incontri tra persone di culture diverse. In più, un’esperienza all’estero mette alla prova la tua resistenza agli choc interculturali e le tue reazioni davanti alla diversità di tutti i tipi: culturale, geografica, linguistica, religiosa, etnica, politica, ecc. Insomma, scopri un nuovo tipo di nuovo.
Cosa hai ricavato da queste esperienze? Se dovessi dare un aggettivo per ogni luogo in cui hai vissuto?
Ogni periodo vissuto in qualche paese straniero ha stimolato la mia curiosità e ha sviluppato la mia capacità di adattamento, al punto che ora mi sentirei capace di viaggiare in qualsiasi posto del mondo, e forse anche vivere. Innanzitutto, la mia scala personale di valori è cambiata, ora guardo con tanta relatività quello che, secondo la mia cultura, sarebbe buono o cattivo. Apprezzo e rispetto la diversità, a tal punto che potrei ascoltare a bocca aperta i riti indiani per il matrimonio o i racconti del mio amico giapponese che legge la mano. Io non devo credere nelle cose che sento, però esse mi danno l’immagine vera del mondo in cui viviamo – un mondo straordinariamente ricco dal punto di vista culturale, e tutto ciò mi affascina e mi rende più partecipe alle trasformazioni delle nostre società.
Scegliere solo un aggettivo per ogni luogo in cui ho vissuto non è facile, però ci provo: Bucarest (Romania): artistica, Perugia: giovane, Amburgo (Germania): multiculturale, Siena: ferma, Strasburgo (Francia): multistrato,Coimbra (Portogallo): eterogenea.
Parliamo di attualità. Cosa pensi del provvedimento varato in Francia che prevede l’allontamento dal territorio nazionale delle persone di cittadinanza rumena?
C’è da dire che la Francia ha rimpatriato i Rom di cittadinanza rumena che risiedevano illegalmente sul territorio francese. Personalmente, capisco che non sia facile vivere con accanto un campo Rom che può creare tanti tipi di problemi e penso che sia giusto allontanare le persone che non rispettano le leggi, qualunque sia la loro cittadinanza. Europa è un continente molto tradizionale che, momentaneamente, non riesce ad assorbire i popoli che hanno uno stile di vita fondamentalmente diverso; essendo visti da sempre come un problema, i Rom hanno finito per costituire realmente un problema per le società europee e la loro discriminazione persiste dappertutto. Il provvedimento della Francia incide sicuramente in modo negativo sull’immagine del mio paese, però non lo considero come una misura contro i miei connazionali, ma piuttosto contro i residenti illegali sul territorio francese.
Come spieghi tutta questa intolleranza verso i tuoi connazionali? Credi che la gente non sappia la differenza tra Rom e rumeno?
I rumeni sono uno dei popoli più poveri dell’Unione Europea (la zona più povera dell’Unione si trova nell’est della Romania), che risiede in una posizione geopoliticamente strategica. Siamo sempre stati divisi dagli interessi delle potenze più importanti, abbiamo sofferto i traumi del comunismo e, in più, abbiamo una mentalità balcanica che non accetta necessariamente le stesse tappe di sviluppo che hanno seguito i paesi occidentali. Di conseguenza ora, con le nuove possibilità di viaggiare, vogliamo vivere bene come gli occidentali e immigriamo in massa (d’altronde, come gli altri popoli dell’est). Se a tutta questa storia aggiungiamo la confusione che si è creata intorno ai due nominativi, penso di aver già spiegato l’intolleranza esistente verso i miei connazionali. Se questa confusione tra “Rom” e “rumeno” è creata appositamente o è semplicemente malgestita dal governo rumeno, questo non lo so. Comunque, si tratta di un errore grave a cui contribuiscono sia i mass media che l’ignoranza della gente e non vedo perché i rumeni dovrebbero rimanere afflitti.
Progetti futuri? Dove ti vedi tra vent’anni?
Nuove esperienze di studi, nuove esperienze di lavoro, sempre all’estero. Il mio percorso personale è molto flessibile e quindi è difficile dire che cosa farò tra vent’anni, però di sicuro vivrò all’estero, forse in Italia. Avrò dei figli che parleranno un sacco di lingue straniere, avrò visitato tanti posti lontani e magari avrò scritto qualche libro sulle mie esperienze da girovaga.

Wednesday, October 20, 2010

Under construction...

Non so che voglio dalla vita. C’è un sacco di confusione intorno a me però, comunque, tutti gli altri mi sembrano ben più decisi rispetto a me. Hanno una meta stabile oppure trascinano le loro ambizioni su una strada ruvida e infinita, però  loro non si fermano. Io. Gli altri mi chiedono come ce la faccio a viaggiare così tanto e ad essere sempre in movimento, senza sapere che anch’io mi chiedo la stessa cosa. Risposta? Neanch’io non so come ce la faccio e o anche dei forti dubbi se ce la faccio veramente. Farcela significa non solo farla, ma implica anche un buon fine. Essendo sempre in movimento, anche le mie mete sono completamente mobili e quindi la strada per raggiungerle prende la forma delle rotte aeree europee; a cui si aggiungono i soliti ritardi (come nel caso dei voli aerei) e le solite perdite dei bagagli emozionali.  
Avere l’identità personale in continua costruzione implica il rischio di a volte sentirsi senza nessun’identità, un miscuglio di pensieri e ambizioni senza uno scopo preciso, né una forma distinta. Lo choc culturale si esperimenta anche all’interno della propria casa dove ci sei cresciuto: perché non ti ritrovi più nei soliti posti, perché i tuoi vecchi amici ti sembrano lontani e mantieni appositamente questa fredda distanza tra te e le cose che una volta ti piacevano? Sarà una mia volontà camuffata o forse il bisogno di proteggere il nuovo progetto di me stessa che si sta costruendo: devo definire quello che fa parte della mia identità? Che cosa determina se un oggetto o un amico non si trova più sulla tua mappa personale?

Monday, October 18, 2010

Expunere

Pe copaci vedeam stările şi emoţiile mele, expuse în faţa tuturor, în loc de culorile dezarmante ale toamnei. Acel melanj de nuanţe îmi reflecta sufletul meu întors pe toate părţile, în care se amestecau sentimentele cele mai variate. Aş fi vrut să le pot numi, la fel cum se pot numi galbenul, portocaliul şi roşul însă nu se inventase încă un spectru al sentimentelor care să mă ajute.Mă gândeam la cât de împletite or fi fost şi vieţile celor pe care acum viaţa i-a readus la un fel de copilărie mai grea şi mai tristă ori care au rămas fără nici un fel de vârstă, undeva în eternitate. Pe cât de greu îmi e acum să am răbdare pentru a înţelege ceea ce s-o petrece în sufletele lor, pe atât de greu îmi e să accept că, într-o zi, nici stările agitate ale sufletului meu nu vor mai reprezenta o preocupare semnificativă pentru cei din jur. Ieşim din centrul atenţiei într-un mod dureros și crunt, pe care numai obişnuinţa te poate determina să îl accepţi.
Sunt puţini cei care reuşesc să rămână în centrul atenţiei la orice vârstă. Se întâmplă asta doar cu cei care, fiind înzestraţi cu talentul natural de a fi mereu fericiţi, nu poartă nici o greutate pe inimă şi, ca urmare, reuşesc să nu îi îngreuneze nici pe ceilalţi. Nu percepi înaintarea lor în vârstă pentru că au ştiut să se păstreze mereu în acea stare perpetuă de copilărie care, într-o oarecare măsură, le asigură nemurirea.
Când bunica mea a murit, eu nu am fost acolo. Pentru mine, rămâne doar amintirea ei veselă şi forţa pe care reuşea să o demonstreze în orice fel de situaţie. Îmi este cu atât mai greu să accept absenţa ei fizică, întrucât pentru mine ea s-a evaporat într-un mod miraculos, în timp ce eu călătoream pe la celălalt capăt al Europei. Nu voi putea niciodată să accept moartea ei, ci doar să mă obişnuiesc cu o absenţă ce mă apasă fără ca uneori să îmi dau seama. Evit să vorbesc despre asta şi mă străduiesc să îmi împing toate gândurile la ea într-un colţ al minţii mele, ca şi când ar fi un subiect tabu; cine ştie ce-o zice ea despre asta.

Monday, July 19, 2010

A minha paixão por os azulejos...


Je connaissais les azulejos en tant que forme d'art, mais je ne savais pas leur histoire portugaise. La première fois que j'en ai su plus sur les azulejos fut pendant ma lecture d'une guide portugaise. Mais, une fois arrivée en Portugal, j'ai découvert que les azulejos étaient partout. Cette peinture-tapisserie sur carreaux de faïence vernissée remonte au 15e siècle, quand ils étaient largement utilisés en Andalousie pour la décoration des palais. Le roi Manuel Ier les a introduits en Portugal après son voyage en Espagne, mais au début ils avaient seulement des désignes monochromes avec des motifs géométriques. Dans l'évolution de la technique il faut bien reconnaître aussi le mérite de l'Italien Franscesco Nicoloso, qui a introduit le principe de recouvrir la terre cuite d'une couche d'émail blanc sur laquelle se fixent les pigments. Au contraire de ce que nous dirait notre intuition, le nom en portugais ne viendrait pas de azul (bien qu'en majorité on les retrouve en bleu et blanc), mais plutôt de l'arabe al zulaycha, qui désigne un morceau de terre cuite et lisse.Mais j'ai déjà écrit assez d'explications, maintenant c'est le moment des photos - il y a longtemps que je voulais vous présenter cette art magnifique.

Friday, July 16, 2010

Coimbra é assim

Nei loro volti vedevo la gioia di essere lì, di cantare e di incantare il modesto pubblico con le loro poesie. Mi emozionava la voce tremante di una signora che portava questo cappello gigantesco, originariamente proveniente dal sud del Portogallo. Osservavo l'espressione viva di un paio di occhi che appartenevano a questo basso signore che, nella mia immaginazione, doveva fare l'attore. Ma soprattutto mi commuovevano gli sguardi premurosi di due signore che sembravano di accarezzare il viso delicato della più giovane del gruppo. In quegli sguardi ci stava tutta la loro speranza in una tradizione che sarebbe portata nel futuro attraverso quella ragazza, che ci metteva tutto l'animo nel suo canto. Come loro, anche lei condivideva la passione del canto; come loro, lei pure ci credeva in quei versi delle canzoni d'amore. Ma, rispetto a loro, a lei spettava ancora scoprire cosa raccontassero quelle parole, e tutto ciò si rispecchiava nel suo sguardo speranzoso e timido.

Thursday, July 8, 2010

Please, don't ruin my Europe!

Some may think of Europe as the recently-created European Union: a dangerous instrument led by political and economical interests, which keeps getting more and more control over our lives. Europe might be connected by some people to the bureaucratic "old continent" where progress happens, but not as fast as across the ocean. It might have the oldest universities in the world, but research work is not sufficiently granted and mobility is still a privilege for most of its students. Europe is slow, Europe is old-fashioned, Europe is falsely democratic...
While all these might be partially true, I love my continent and I love being a European. I have explored many European countries and I think there is no place in the world (perhaps only the Amazonian forest) where diversity  is as tangible as it is on the "old continent". In the range of some hundred of kilometres, everything can change, starting with language and religion and ending with toilet bowls or customs of giving toasts. If you go to the South, you will find large families eating and chatting around the table for hours and hours. Heading to the North, you will face people having quick dinners and lazing in front of a beer afterwards, somewhere in a pub. While Western Europe has always been the engine of the continent, the Eastern part has had to cope with the consequences of the devilish plans secretly developed by Europe's biggest powers. Now, we, young people of Europe, have left the past behind and are heading towards a Europe were diversity is lived. Diversity is desired and worshiped and Eastern Europeans are eager to head to the Western Europe, while the latter are exploring the remaining relics of the East with the eyes of an enthusiastic tourist. The traditions of another country can now be discovered in only one weekend-holiday, while the most recent tendencies in travelling include full immersion holidays, where people can directly experience national customs. Music and food are part of this experience, and their local origins are important ingredients for a successful recipe.
Our lovely Europe is based on the tomatoes coming from the gardens of the countrymen and on the overwhelming diversity of the ways we drink coffee or beer. I am happy to live in Europe because I know I will never get bored with her. She is like a perfect companion who knows how to party but who gets serious when necessary. She knows how to cook but she can adapt to so many types of food. She prays in a variety of languages to different gods and yet is independent and highly competitive. She has sunny hair of sand and blue eyes, like the sea, in the summertime but she can hide her white skin and warm smile under an umbrella during the rainy winter days. Most of all, she doesn't want to be a typical girl just like her other competitors. She is special because she doesn't want to change her way of being because she has her own ideals. These ideals include a high-quality life where traditions, health or culture are still big points on the agenda. For all these reasons, I'm asking : Please, don't steal away my Europe!

Sunday, June 20, 2010

Photography - an easy art?

I had just arrived at a folkloristic Portuguese "festa", in a lovely piazza with a lot of cafés and a nice caractheristic church. On that special occasion, a very representative music group started to sing on the sweet rhythm of the Portuguese guitar and it seemed exactly the same music with the same voices I used to listen to on my CDs. Only that this time it was live, right there in front of me, with women wearing colourful traditional costumes and men dressed in black, with big hats and long moustaches. Of course it was a memorable view; so I was truly enjoying it, trying to grasp some words and to understand what was it all about.
However, I was continously disturbed by the flashes coming from all directions. Paying a closer attention, I saw that almost everyone was taking so many photos of the event, without even listening the music. I actually saw a group of three people who arrived in that place, surprisingly faced the music group and then this man gave his bag to the woman in the group and started taking photos desperately.
It just seems all so weird. Photography has become more than a tangible proof or a sweet memory, it is something we all like to do. Everyone is trying his best shots and thinks that his angle is the best, only because it captures something that the others will never understand. Well, it is most certainly true, since everyone has a unique view over the world, but do we actually have to name this art? There is a huge difference between artistic photography and a quick shot of an event, but the line is not so definite since there are so many people with a common artistic passion: photography. When have we all become artists only by pushing a button?
I have to admit that I have also taken some photos of that folkloristic event, mostly to have a memory of that night, but also with artistic claims. After having taken a photography course at the university, quite a lot of people have appreciated my shots so I now keep it like a hidden passion. I realise though that I generally keep to myself a passion which is commonly popular among others, falsely thinking that my way of living this passion is unique only because it is not shared or spread like others' hobbies. I remember going crazy for Guns'n'Roses' song Don't cry in the tenth grade, but I've secretely kept this fact only because there was this girl who was desperately yelling for it everytime we heard it at a party. My selfish thought pushed me to believe that I liked the song in a much more profound way than she did. 
Nonetheless, I still hope that it won't happen the same way with photography. While it is one of the most accesible forms of art - quick results, easy and available for almost everyone - we have to make a difference between a simple shot, an incomprehensible picture (that oh, we fools, do not understand) and a photography which acutally has a meaning.

Monday, May 17, 2010

About the language issue

After I came from a great intercultural exchange in the Basque Country (Spain) where I heard people speaking both in Spain and it Basque (no idea where does this language come from), I went back home - in Portugal - by train. This train crosses the entire Spain and reaches Portugal in about 9 hours. As soon as you get out of Spain, all the staff on the train switches from Spanish to Portugal, as if they  had a 6th sense which tells them when to do so. The thing is that, when I was just about to arrive at my final destination and I was preparing to get off the train, I fainted. Just out of the blue, I felt unbearably sick. I remember a lot of people gazing at me desperately and asking me - in Portuguese, of course - how did I feel. Since I was too sick to articulate any word in Portuguese, I spontaneously babbled some words in Italian. Luckily, there was a girl on that train who spoke Italian.
The doctors knocked some sense into me so I started to communicate again in Portuguese, but when the doctors from the emergency room started to quickly ask me a lot of details, I switched to English. And that made the entire process easy and smooth. Afterwards, I surprisingly found out that the assistant who was doing my blood analysis had immigrated to Portugal 3 years ago: she came from Romania. So I talked in Romanian with her and it felt nice.
I payed the bus driver in Portuguese. I talked to my parents in Romanian. I contacted my boyfriend and I told him what had happened in Italian. I started writing my graduation paper in French, after having read some articles in Spanish. And now I'm writing in English.
Today, no one is being stopped to think globally. People ask me in which language do I think. I answer them that I rarely think in Romanian, because it always depends on the situation. No one forces you to stay fixed in your inherited values, customs or ways of thinking for all your life. Of course, that doesn't mean that you have to renegate your original culture just because you want to change. What I do think is great nowadays is that we are given enough knowledge in order to better adapt to new environments, to prepare ourselves for this intercultural world.

Thursday, May 6, 2010

Turisti in Portogallo

Mi siedo e chiedo un bicchiere di vino Porto. Il cameriere mi sorride e mi parla piano, con quella complicità con la quale apprezza tutti gli stranieri che si sforzano per parlare la sua lingua. Mi sono detta, anche se sono sola e circondata solo da turisti con i tratti tipici del nord, mi posso godere questa serata promettente. Sì, alla fine accanto a me s'era seduto un tizio in giacca e cravatta, pompato di soldi ma pure lui solo. Ho pensato tra me e me che, se devo andare da sola in un bar per ascoltare musica tradizionale portoghese dal vivo, che sia così.
Non passano neanche cinque minuti di pensieri solitari che il mio vicino di tavolo mi rivolge alcune parole in inglese. Non il business man di provenienza sconosciuta, ma un uomo sessantenne, con la stessa faccia nordica accennata prima. Come i pensieri negativi continuavano a invadermi nella mia solitudine, mi ero schifata all'idea che lui fosse interessato a parlare con me per praticare quella specie di turismo sessuale. Critichiamo la gente del nord perché spende soldi in questi piccoli piaceri sporchi ma siamo noi, la gente del sud, che li invita per fare ciò. Comunque, lui si accorse subito dei miei dubbi e, nel rispondermi, si rivolse verso la sua moglie - di nuovo, il tipico viso nordico che ti spiega anche perché nel mondo esiste il turismo sessuale. Chiarite le intenzioni, comincia a chiedermi da dove vengo, che faccio a Coimbra, come mi chiamo e che studio.
-Chimica!
-No!!!
-Diritto internazionale!
-Devono essere i miei occhiali che le fanno credere una cosa simile!
Praticamente, nelle sue due scelte ha nominato probabilmente le uniche materie al mondo che non suscitano neanche il minimo interesse in me. Mi  sono chiesta seriamente cos'è che trasmette la mia presenza agli altri. Essendo troppo occupati per essere noi stessi, ci scordiamo che troppo spesso l'immagine che creiamo negli altri ci rimane parzialmente incontrollabile. A quello che noi vogliamo trasmettere l'altro aggiunge sempre le sue proprie fantasie, senza tenere conto che le sta sovrapponendo a una base reale e, a volte, a lui sconosciuta.
Creata quest'amicizia temporanea, mi rilasso per godere la musica, convincendomi sempre di più della buona scelta che avevo fatto. Le voci erano stupende e l'atmosfera gioiosa, come quando si sta all'estero e tutto ci piace semplicemente perché diverso.
- La musica tradizionale portoghese...ti  piace?
-Sì, tantissimo!
Anche il mio gusto è motivato dallo stesso principio. Se fossi stata portoghese, probabilmente non mi sarebbe piaciuta.
-E' come la musica romena, no?
Non so come spiegargli che è completamente diversa, quindi esito e lui mi guarda confuso. Non ho neanche la più pallida idea di come sia la musica tradizionale olandese, ma sicuramente per lui è completamente differente. Certe volte il turismo non fa altro che rafforzare gli stereotipi che avevamo già.
E proprio quando meno me l'aspettavo, il tizio in giacca e cravatta chiama il cameriere e gli chiede di pagare. Nel frattempo si rivolge a me e mi dice in inglese:
-Can I pay yours?
-No! La mia risposta fu chiara e sicuramente inaspettata per lui. Probabilmente sono poche le giovani che non si approfittano di una proposta del genere, ma per me l'offesa che io potessi essere conquistata così, ha superato l'orgoglio di essere notata.
Ci dev'essere qualcosa nell'aria di Coimbra.

Tuesday, May 4, 2010

2 ancient empires in confrontation

One can tell that Portugal used to be a big colonializing empire once he has taken a look at a common Portuguese bathroom. An important mark of this ex-expansionistic power is the word they use to describe the generally-known toilet: "casa da banho". Yes, it's not just a room where you flush the water, it's a "house" with all the necessary equipment for the personal hygiene.
Let's just face it: if we were to compare Portugal to France, you would say the latter is far more "civilised". We can simply think about what French people eat or drink and the demonstration would end here. But the result wouldn't be the same if we compared their bathrooms.
I remember a very controversial group talk about the once great French invention, the bidet, and its failure in its own birth country. The etymology of the word comes from what it used to mean "pony" in French, and this explains why the "bidet" is ridden just like a pony. Gradually, our conversation turned intercultural and even partially conflictual, since the Italians couldn't understand why French people gave up their precious and clever invention, while the French side was amazed that the "bidet" was still used in Italy, and even by young people! The worse part is that France not only eliminated the "bidet", but it also switched to what could be considered an enemy of human hygiene: W.C. in one room, washbasin in another one. Their explanation, as serious as it might be, cannot stand in front of the basic hygiene rule that tells you to always wash your hands after having gone to the toilet. If this is your situation and the bathroom is occupied, French people will tell you that you're supposed to wash your  hands in the kitchen sink. Please tell me that all French houses have dish washers!
Here comes the end of my demonstration. Portugal's glorius historical past is reflected by the composition of their bathrooms, fully equipped with water closed, washbasin, bathtub and bidet, all in the same room. Of course, the amazingly-cheap and delicious coffee helps too.

Sunday, May 2, 2010

De ma langue, on voit la mer (Virgílio Ferreira)

Etant entouré par un seul voisin presque dominateur et par l’océan de toutes les autre côtés, le Portugal s’est détaché du reste de l’Europe pour voguer sur l’Atlantique. L’appel de l’outre-mer a fait qu’aujourd’hui le monde lusophone s’étend sur quatre continents et huit pays, où plus de 200 millions des personnes parlent le portugais.
Avant hier je me suis sentie pour la première fois partie de cette grande famille lusophone, quand je participais à une conférence sur les rapports entre le Portugal et l’Amérique Latine. En commençant, j’avais immédiatement compris comme j’étais chanceuse de parler une langue de provenance latine, parce que je pouvais comprendre l’espagnol et le portugais sans grands efforts. Mais dans ce moment-là j’ai senti directement que j’étais dans une autre partie du monde, une partie d’où l’Amérique du Sud n’est plus assez loin et où les échanges culturels ou économiques avec le monde latin font part du quotidien. Oui, je suis dans le monde latin et je l’aime beaucoup.
En bref, quand on doit parler du Portugal, on pense aux Grandes Découvertes (Bartolomeu Dias, Vasco da Gama, même le génois Christophe Colomb était marié avec une Portugaise qui sûrement avais senti l’indescriptible saudade pour son mari), au vin du Porto et aux friandises culinaires à base de poisson. Mais le Portugal promet bien plus, seulement si on pense comme un pays assez petit a construit un empire assez grand de l’autre côté du monde ! Et dans ces 3 mois que je vive ici, je me propose de découvrir les particularités de cette partie du monde, et je dois admettre que jusqu’à maintenant, ça marche bien : à peine arrivée, j’ai découvert quelques détailles très intéressants sur la pratique du fado.
Un nostalgique chant marin avec des origines incertaines (peut-être mauresque ou afro-brésilienne), il se développe en Portugal au début du 19e siècle, dans une période agitée du point de vue historique. Utilisé même comme support aux luttes idéologiques, le fado, déjà devenu genre littéraire à la fin du siècle, acquiert sa popularité à Lisbonne, avec les chanteuses Maria Severa et, plus récemment, Amália Rodrigues. Il y a deux types de fado en Portugal : le fado de Coimbra et celui de Lisbonne. Le premier est chanté généralement par des étudiants qui portent l’habit traditionnel noir (qui doit être fermé pendant le chant!), comme des troubadours qui chantent aux filles des vers d’amour ou de la vie dans la ville universitaire. Par contre, le fado de Lisbonne est chanté par des femmes, qui sont toujours accompagnées par un ou deux joueurs de guitarra portuguesa (utilisée exclusivement pour accompagner le fadista). Etant né à Lisbonne dans une période de récession, les thèmes du ce fado sont nostalgiques, en rappelant l’origine du mot : le latin fatum – destin.

Friday, April 30, 2010

On the road again...

Not that I haven't been on the road lately, but this time I'm taking my companion with me, again. Hopefully he'll be more talkative than I am and tell you more about what I'm going to see, feel, taste, capture in this promising adventure. The inspiring muse: Portugal.